il progetto di restauro e riutilizzo

Ogni imbarcazione in legno necessita di continui restauri che fanno parte della sua stessa vita, poiché il legno è un ottimo materiale per la sua facilità di lavorazione e reperibilità, ma è un pessimo materiale per la durata nel tempo. Può essere infatti attaccato da muffe, funghi, insetti xilofagi e teredini.

Quindi non ci si deve stupire se il nostro trabaccolo, che compie quest’anno novanta anni, abbia bisogno di importanti lavori di raddobbo, in particolare per quanto riguarda proprio gli elementi strutturali dell’ossatura.

Il trabaccolo, come tutte le imbarcazioni da carico, ha anche un fasciame interno che funge da irrobustimento della struttura e evita che il carico, specie se sfuso, si disperda fra le ordinate.
L’interno del trabaccolo era stato riadattato dal precedente proprietario per il charter, cioè per crociere di gruppo, quindi l’ampio spazio della stiva era stato suddiviso in molti piccoli ambienti, cabine e bagni per garantire la privacy degli ospiti.

La presenza di queste suddivisioni però ha di fatto reso impossibile il controllo e pulizia della struttura dello scafo e la sua naturale aerazione. Negli anni si è infiltrato, negli interstizi fra fasciame interno ed esterno, molto sporco inumidito dall’acqua dolce infiltratasi dal ponte.
Questo ha prodotto muffe e funghi che hanno indebolito la struttura del legno e hanno corroso chiodi e bulloni facendo perdere all’insieme ogni resistenza meccanica, marcescenza si è estesa anche alle parti sane.

È stato quindi indispensabile per prima cosa liberare la barca di ogni parte dell’arredo e procedere chirurgicamente a saggiare la consistenza del legno. Si è iniziato dal paramezzale, che è un enorme trave di 30 centimetri per lato, che corre come una spina dorsale al centro della stiva. Poi si sono staccate le tavole che ricoprivano la stiva chiamate serrette e parascusole, scoprendo interamente l’ossatura.

Questa si presenta gravemente compromessa proprio del punto più delicato, tutti i compensi, cioè la zona di sovrapposizione fra l’elemento orizzontale, il madiere, e quello verticale lo staminale o brasso sono spezzati o marciti. In pratica il fondo si potrebbe facilmente staccare dai fianchi facendola affondare.

Dopo attenti esami e considerazioni da parte di tutto il gruppo si è optato per un restauro che veda l’utilizzazione di legno lamellare. Filologicamente sarebbe stato auspicabile l’impiego di legno massiccio e curvo di natura, stortami della stessa essenza originale, ma nei casi concreti si deve mediare fra l’intervento teorico e le problematiche reali.
A
ppare evidente che non si può ridossare un terzo pezzo perché manca lo spazio necessario fra una maglia e l’altra delle ordinate né sovrapporre alcunché per il sistema di raddoppio usato. Bisogna, a forza di tagli e leve, staccare l’ossatura in stato peggiore di conservazione dal fasciame e sostituirla con una nuova, almeno una ogni tre.

La costruzione in legno lamellare prevede di utilizzare, invece del legno massiccio, una serie di listelli di legno di spessore ridotto, incollati con resine e colle marine fino a raggiungere lo spessore richiesto. In questo modo si hanno gli stessi vantaggi del massiccio, ma si evitano i relativi difetti, fra i quali la debolezza dovuta alla presenza di nodi, le deformazioni provocate dalle tensioni naturali fra le fibre, le spaccature che avvengono per il calo di volume durante la stagionatura ecc.

Questa tecnica si rivela particolarmente indicata per realizzare una struttura curva, come lo scheletro di una imbarcazione, perché oggi è di difficile reperibilità il legname curvo di natura, o di convegno come si dice in termine tecnico specie se stagionato.

Con questo metodo si possono costruire singole parti ma anche l’intero scafo che diventa una scocca indeformabile ed estremamente robusto.

Inoltre un grosso problema è anche l’incurvatura rovescia della chiglia detta: hogging o scavezzo, che colpisce gli scafi molto vecchi. Si tratta di un fenomeno naturale provocato dall’eccesso di spinta di galleggiamento data dal grande volume centrale contrapposta al peso che gravita sulle estremità che viceversa non hanno quasi galleggiamento. Anno dopo anno la struttura cede provocando una deformazione dello scafo che annulla l’insellatura originale e rende la chiglia, prima rettilinea, concava.
È un problema di difficile soluzione senza ricostruire completamene l’imbarcazione, nel nostro caso proveremo almeno a ridurla sollevando le estremità durante i lavori in cantiere.

testo e disegni Gilberto Penzo